Effetto interruttivo del procedimento di mediazione

L’effetto interruttivo di un termine di decadenza si produce soltanto con la comunicazione alle altre parti della domanda di mediazione, e non anche dal mero deposito della stessa. Dunque, ai fini dell’effetto interruttivo del procedimento di mediazione occorre fare riferimento non già alla data di deposito dell’istanza, ma a quella, successiva, della comunicazione alle altre parti.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4519/2017 proposto da:

M.S.M., M.A., M.M., S.E., M.O.M., elettivamente domiciliati in ROMA, LARGO DELLA GANCIA 5, presso lo studio dell’avvocato RENATO MIELE, rappresentati e difesi dall’avvocato LAURA TRENTI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 15/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/10/2018 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato TRENTI Laura, difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con ricorso L. n. 89 del 2001, ex artt. 2 e 3, M.O.M., M.A., M.S.M., M.M. e S.E., adivano la Corte d’Appello di Venezia per chiedere il riconoscimento di un equo indennizzo per la non ragionevole durata di una procedura concorsuale durata 27 anni, che era stata preceduta da istanza di mediazione, non accettata dal Ministero di Giustizia.

La Corte d’Appello, con decreto reso in data 15.12.2016, rigettava la richiesta di equa riparazione, ritenendo che la domanda era stata formulata tardivamente e che la presentazione di un’istanza di mediazione non avesse efficacia interruttiva.

La Corte affermava, in ogni caso, che, ai sensi dell’art. 4, comma 6, l’effetto interruttivo del termine di decadenza si produceva solo dalla “comunicazione” alle altre parti della domanda di mediazione (e non dal deposito della stessa) e che nel caso di specie la suddetta comunicazione era intervenuta ben oltre il termine decadenzaziale di sei mesi.

Avverso detto decreto propongono ricorso i signori M.O.M., M.A., M.S.M., M.M. e S.E..

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, artt. 2 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale escluso la compatibilità del procedimento di mediazione con l’attuale rito monitorio con cui si introduce la domanda di equa riparazione.

Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5 e L. n. 742 del 1969, art. 1, modificata dalla L. n. 162 del 2014, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e si censura la statuizione della sentenza impugnata che ha affermato la tardività del ricorso per essere già maturato il termine semestrale alla data di comunicazione al Ministero dell’avvenuto deposito dell’istanza di mediazione e di fissazione dell’incontro tra le parti;

ad avviso dei ricorrenti, ai fini dell’effetto interruttivo del procedimento di mediazione occorre fare riferimento non già alla data di comunicazione dell’istanza, ma a quella, anteriore, del deposito dell’istanza.

In ogni caso la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che il provvedimento di chiusura della procedura fallimentare, a seguito di correzione di errore materiale, era stato depositato il 30.3.2015 e che, ai fini della definitività del decreto, doveva comunque computarsi la sospensione feriale del termine.

Da ciò, considerata la data in cui era stato depositato il decreto di chiusura della procedura fallimentare corretto (30.3.2015), e quella in cui lo stesso era divenuto definitivo (28.6.2016), considerando il periodo di sospensione feriale, alla data in cui era stata l’istanza di mediazione era stata comunicata la decadenza non era maturata.

Conviene per ragioni di priorità logica esaminare anzitutto il secondo motivo di ricorso.

Il motivo è infondato.

Il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 6, prevede che: “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta…”.

Sulla base del chiaro tenore della disposizione su citata deve ritenersi che solo la comunicazione alle altre parti della domanda di mediazione, e non anche il mero deposito della stessa, impedisce il prodursi della decadenza.

Ciò premesso, ed avuto riguardo alla prospettazione dei ricorrenti in ordine al provvedimento di correzione di errore materiale del decreto di chiusura del fallimento quale dies a quo per il computo del termine semestrale di proponibilità della domanda – si osserva che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’art. 288 c.p.c., comma 4, nel prevedere che le sentenze assoggettate al procedimento di correzione possono essere impugnate, per le parti corrette, nel termine ordinario, decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, si riferisce alla sola ipotesi in cui l’errore corretto sia tale da determinare un qualche obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione e non già quando l’errore stesso, consistendo in una discordanza chiaramente percepibile tra il giudizio e la sua espressione, possa essere agevolmente eliminato in sede di interpretazione: in tale ultima ipotesi, un’eventuale correzione dell’errore non sarebbe idonea a riaprire i termini dell’impugnazione (ex multis, Cass. 22185/2014).

Nel caso di specie, il provvedimento di correzione di errore materiale concerneva il nome di uno dei falliti ed era dunque evidente e facilmente percepibile sia dai creditori che dagli odierni ricorrenti, sottoposti alla medesima procedura concorsuale.

Ciò comporta che il termine di 90 gg. stabilito per la definitività del decreto di chiusura del fallimento, va computato dalla data di deposito del decreto, vale a dire il 12/13 marzo 2015, essendo, come sopra evidenziato, irrilevante e del tutto percepibile l’errore materiale del provvedimento.

Il decreto era dunque divenuto definitivo il 10/11 giugno 2015 e, conseguentemente, pur considerando il periodo di sospensione feriale di 31 gg, la comunicazione della domanda di mediazione(19.1.2016) risultava effettuata quando era già maturata la decadenza in relazione alla domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001.

Il rigetto di tale motivo e la conseguente tardività del ricorso L. n. 89 del 2001, ex art. 2, per essersi già verificata la decadenza al momento della comunicazione dell’istanza di mediazione, assorbe l’esame del primo motivo, relativo alla compatibilità tra mediazione e procedimento ex legge Pinto, quale procedimento che si instaura in via monitoria.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il presente ricorso ha ad oggetto materia esente del contributo unificato, non vi è luogo a provvedere in ordine al raddoppio del pagamento del medesimo D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in 3.200,00 Euro, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2019

 

Per la revoca dell’amministratore di condominio è necessaria la mediazione

TRIBUNALE DI MACERATA

…./17 r.g.

IL COLLEGIO

Nelle persone dei magistrati

Dott. Gianfranco Coccioli (Presidente)

Dott. Luigi Reale

Dott. Corrado Ascoli (relatore ed estensore) a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 20 dicembre 2017, sul ricorso proposto da Lina nei confronti di M , esaminati gli atti e la documentazione prodotta, ha pronunziato il seguente

DECRETO

Premesso che l’art. 5, comma 1 bis (introdotto in sostituzione dell’omologo, quanto alla materia condominiale, comma 1, dichiarato incostituzionale per eccesso di delega del legislatore delegato) del Dlgs 28/2010 prescrive: “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilita’ medica e sanitaria e da diffamazione con mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicita’, contratti assicurativi, bancari e finanziari, e’ tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione e’ condizione di procedibilita’ della domanda giudiziale.”; premesso ancora che l’art. 71 quater disp. att. c.c., introdotto con la legge 220/2012, specifica: “per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n.28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice.” premesso infine che l’art. 64 disp att. c.c., espressamente richiamato dal citato art. 71 quater, disciplina il procedimento di revoca dell’amministratore, nei casi indicati dall’undicesimo comma dell’articolo 1129 e dal quarto comma dell’articolo 1131 del codice; ritenuto che, proprio sulla base del plesso normativo richiamato, non possano sussistere dubbi in ordine alla applicabilità al procedimento di revoca dell’amministratore della procedura di mediazione quale condizione di procedibilità; ritenuto che in senso contrario non può rilevare la previsione contenuta nell’art. 5, comma 4, lettera f, Dlgs 28/2010, che esclude in via generale l’applicabilità del comma 1 bis per i procedimenti in camera di consiglio (artt. 737 c.p.c. e segg.) atteso che è evidente che gli artt. 71 quater e 64 disp. Att. c.c. rappresentano norma speciale nella specifica materia del condominio, dovendosi peraltro considerare che a ritenere il contrario le due norme richiamate risulterebbero in parte qua sostanzialmente abrogate (per di più implicitamente), risultando del tutto inapplicabili, mentre ravvisando, al contrario, il rapporto di specialità nel senso prospettato, l’art. 5 comma 4 lettera f del Dlgs 28/2010 manterrebbe un ampio spettro applicativo per tutti gli ulteriori procedimenti, nelle materie oggetto di mediazione obbligatoria, che si svolgono nelle forme previste dagli artt. 737 e segg. c.p.c.; precisato che il rinvio operato dal ridetto art. 71 quater disp. att. all’art. 5 comma 1 c.c. del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (dichiarato incostituzionale per eccesso di delega e sostituito con il comma 1 bis) costituisca un rinvio mobile, sia in ragione della natura procedurale della norma, sia in forza della preferenza, in generale, nella tecnica di corretta redazione legislativa per tale forma di rinvio, sia, infine, alla stregua del principio di conservazione degli atti normativi; rilevato che l’eccezione è stata sollevata dalla parte resistente tempestivamente con la costituzione in giudizio;

visto l’art. 5, comma 1 bis Dlgs 28/2010;

P.Q.M.

Assegna alle parti termine di gg. 15 dalla comunicazione del presente decreto per la presentazione della domanda di mediazione e fissa per la prosecuzione l’udienza del 3 maggio 2018 h. 12,45 innanzi al giudice relatore dott. Corrado Ascoli.

Si comunichi nella medesima data alle parti costituite.

Così deciso nella camera di consiglio del 10 gennaio 2018

Il Presidente

In mediazione è indispensabile la partecipazione personale delle Parti

TRIBUNALE ORDINARIO di BERGAMO

QUARTA SEZIONE CIVILE

 

Il Giudice Onorario Dott.ssa Sandra Pagliotto

Nella causa civile rg….. promossa da

…..

Contro

….

Ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Di scioglimento della riserva assunta all’udienza del 13.12.2017

– vista l’eccezione di improcedibilità della domanda sollevata da parte convenuta in considerazione della circostanza che l’attrice ….. non ha partecipato personalmente alla procedura di mediazione ma vi sia stata rappresentata dal proprio legale;

– rilevato che l’orientamento giurisprudenziale prevalente sia nel senso che ai fini dell’ assolvimento della condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 comma 1-bis d.lgs 28/2010 sia indispensabile la partecipazione delle parti personalmente e non solo quella dei loro difensori;

PQM

– manda le parti ad intraprendere la procedura di mediazione nel termine di 15 giorni, fissa per l’eventuale prosecuzione del giudizio l’udienza dell’ 11 luglio 2018 ore 9,30

Si comunichi

Bergamo 19 gennaio 2018

 

Il Giudice Onorario

Dott.ssa Sandra Pagliotto

Prosecuzione della mediazione: le indennità sono sempre dovute

l Giudice di Pace di Siracusa, nel rigettare l’opposizione a decreto ingiuntivo, ha stabilito che le indennità di mediazione sono sempre dovute a seguito della sottoscrizione del verbale e dell’accettazione del regolamento di mediazione. Le Parti, attraverso la firma del verbale di prosecuzione e del regolamento, accettano di corrispondere le indennità di mediazione, così come risulta dal testo dello stesso verbale in cui le Parti si impegnano “a versare le indennità dovute ai sensi dell’art.17 del D.Lgs. n. 28/2010 e successive modifiche”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Pace di Siracusa Avv. Fabio Nuzzaci, all’esito della discussione orale, ha pronunciato e pubblicato ex art. 281 sexies c.p,c., mediante lettura di dispositivo e contestuali motivi ha emesso la seguente

SENTENZA CON CONTESTUALI MOTIVI

Nella causa iscritta al n…../18 del r.g., promossa

DA

C. A., rappr. e difeso dall’ Avv. V. P.;

– OPPONENTE

CONTRO

A… C…. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappr.

e difeso dall’ Avv. M.P.;

– OPPOSTA

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’opposizione è infondata e come tale deve essere rigettata.

Dalla produzione documentale è emerso inequivocabilmente dal verbale di prosecuzione del 13/9/2017, della procedura di mediazione ai sensi del D. Lgs. 28/2010 richiesto da C. G. alla A… C….. S.r.l., sottoscritto dall’opponente e dal proprio legale che lo stesso ha inteso di ‘iniziare la procedura, sottoscrivendo l’accettazione del regolamento di A… C… e impegnandosi a versare le indennità dovute ai sensi dell’art.17 del D.Lgs. n. 28/2010 e successive modifiche”.

Pertanto si può ben dire che procedura è cominciata in quanto continuata dopo il primo incontro e senza che lo stesso si fosse chiuso per mancata volontà di accordo e senza che può essere ritenuto tale manifestazione volontà sia dipeso da errore o quanto meno da dolo altrui.

Ciò consegue che parte opponente è obbligata a corrispondere la mediazione come da tabella contenuta nel regolamento che il accettato sottoscrivendo il detto verbale e che ammonta alla somma di 395,00 oltre iva al 22% per un totale di €. 481,90, ritenuto lo scaglione valore indicato nell’istanza di mediazione. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo,

P.Q.M.

Il Giudice di Pace di Siracusa, definitivamente pronunciando, rigetta l’opposizione e dichiara esecutivo il decreto ingiuntivo 88/18 emesso dal Giudice di Pace di Siracusa.

Così deciso in Siracusa il 22/6/2018.

Condanna parte opponente al pagamento in favore dell’opposta del presente giudizio che liquida nella somma di €. 300,00 per oltre spese generali, iva e cpa come per legge.

Il giudice dispone di verbalizzare chi non vuole proseguire in mediazione ai fini della condanna alle spese e alla responsabilità aggravata per aver agito o resistito in giudizio in malafede o colpa grave

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI NAPOLI

– PRIMA SEZIONE CIVILE –

La Corte d’Appello di Napoli, prima sezione civile, riunita in camera di consiglio nella seguente composizione:

– Dott.ssa Maria Rosaria Cultrera – Presidente –

– Dott.ssa Alessandra Tabarro – Consigliere –

– Dott.ssa Ilaria Pepe – Consigliere relatore –

ha emesso la seguente

ORDINANZA

nel procedimento contrassegnato con il n. 7125/2017 del ruolo contenzioso civile pendente

TRA

COMUNE DI (…) con l’Avvocato (…)

– APPELLANTE –

e

(…) con l’Avvocato (…)

– APPELLATI e APPELLANTI INCIDENTALI –

(…) con l’Avvocato (…)

– APPELLATA ed APPELLANTE INCIDENTALE –

(…)., con l’Avvocato (…)

– APPELLATA –

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con atto di citazione ritualmente notificato il Comune di (…) ha chiesto la riforma, previa sospensione dell’efficacia esecutiva, della sentenza n. 2888/2017 emessa dal Tribunale di Torre Annunziata in data 14.11.2017, con cui, in parziale accoglimento delle domande proposte da (…)

(…) e (…), il Comune e la (…) sono state condannate in solido al pagamento di Euro 9.835,40 in favore di (…) nonché di Euro 14.525,61 in favore della società (…) (a titolo di risarcimento del danno causato da infiltrazioni ed allagamenti verificatisi nel settembre del 2011 e nel luglio del 2012, quale conseguenza dell’omessa manutenzione di una rete fognaria di fatto mista).

2. Si è costituita la (…), spiegando appello incidentale e chiedendo a sua volta la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza appellata.

3. Si sono costituiti (…) e (…) quali hanno chiesto il rigetto delle istanze cautelari, dell’appello proposto dal Comune e dell’appello incidentale proposto dalla (…) I predetti appellati hanno altresì spiegato appello incidentale, lamentando l’erroneità della sentenza di primo grado in punto di quantificazione del danno subito e chiedendo il riconoscimento delle maggiori voci di danno effettivamente subite.

4. Si è costituita (…), chiamata in causa in garanzia nel giudizio di primo grado dal Comune di (…) chiedendo il rigetto dell’appello proposto da tale ente.

5. Acquisiti gli atti depositati telematicamente nel fascicolo di primo grado e sentite le parti, il Collegio ha riservato la decisione sulle istanze cautelari.

6. Ritiene il Collegio che tali istanze debbano essere respinte, stante la non ricorrenza del necessario periculum in mora.

7. Preliminarmente occorre precisare che per l’adozione del provvedimento di inibitoria i presupposti del fumus boni juris (in termini di prognosi favorevole all’appellante dell’esito del giudizio di appello) e del periculum in mora (in termini di pericolo di un grave pregiudizio derivante al soccombente dall’esecuzione della sentenza) debbono sempre ricorrere cumulativamente e non alternativamente.

Non risulta infatti suscettibile di accoglimento la tesi secondo cui la ricorrenza di un evidente fumus boni juris potrebbe in buona sostanza far prescindere dalla valutazione circa la ricorrenza del periculum, atteso che l’esecuzione di una sentenza palesemente ingiusta costituirebbe di perse un danno grave.

Tale tesi, pur fatta propria da parte della giurisprudenza di merito (Corte d’Appello Bari, ord. 7.7.2004), non risulta tuttavia condivisibile nella misura in cui implicitamente comporta la valorizzazione del solo profilo della gravità del danno derivante dall’esecuzione della sentenza e non anche la necessaria valorizzazione dell’ulteriore profilo dell’irreparabilità di tale danno, quando invece entrambi i suindicati profili debbono ricorrere onde superare il favor del legislatore per l’esecutività delle sentenze di primo grado (in tal senso, Cass., sent. n. 4060/2005; Corte d’Appello Milano, ord. 14.10.2008).

Se è vero infatti che è astrattamente ipotizzabile che integri un pregiudizio di per sé grave eseguire una sentenza il cui gravame presenta una prognosi di accoglimento assolutamente favorevole, è parimenti vero che ciò non comporta automaticamente che detto danno sia anche irreparabile (ossia insuscettibile di riparazione integrale in caso di successivo accoglimento del gravame).

E’ invece proprio tale irreparabilità, in uno alla serietà del pregiudizio ed alla prognosi favorevole circa l’esito dell’impugnazione, che può giustificare, in sede latamente cautelare e di delibazione meramente sommaria, una deroga al principio di generale esecutività delle sentenze di primo grado, anche tenuto conto, non ultimo, del fatto che trattasi di delibazione destinata a sfociare in un provvedimento non impugnabile e che quindi è a maggior ragione opportuno procedere ad una ponderazione globale di tutti i contrapposti interessi.

Tale opzione ermeneutica ha peraltro trovato conferma con la riforma del 2005, atteso che il novellato art. 283 c.p.c., richiedendo tanto la gravità tanto la fondatezza dei motivi, comporta la necessità di procedere sia ad una prognosi di “fondatezza” del gravame sia ad una valutazione di “gravità” delle conseguenze dell’esecuzione della sentenza di primo grado.

8. Ancora in via preliminare deve evidenziarsi, con specifico riferimento al requisito del periculum in mora, che i gravi motivi di cui all’art. 283 c.p.c. non possono essere evidentemente rappresentati dalla sola esecuzione del provvedimento appellato, atteso che nel sistema delineato dagli artt. 282 e ss. c.p.c. detta esecuzione costituisce un effetto del tutto fisiologico della decisione in prime cure della controversia.

Deve quindi richiedersi, ai fini della concessione dell’inibitoria, l’allegazione e la prova di ulteriori conseguenze pregiudizievoli che possano derivare alla parte dall’esecuzione della sentenza gravata e che, come tali, integrino una conseguenza patologica ed ingiustificata della decisione in prime cure della lite (in tal senso, ex multis, Corte Appello Napoli, ord. 24.9.2015).

9. Tutto ciò premesso si ritiene che nel caso in esame il periculum in mora non sia stato idoneamente provato dal Comune appellante e dalla S.p.A. appellante incidentale.

Il Comune si è infatti sul punto limitato a dedurre che il periculum deriverebbe dall’esecuzione di una sentenza ingiusta nei confronti di una pubblica amministrazione, con il che evidentemente sovrapponendo il profilo del fumus a quello – come sopra esposto parimenti necessario – del periculum.

La (…) ha invece dedotto che i creditori non offrono sufficienti garanzie in ordine all’eventuale recupero delle somme corrisposte e che la condanna in via solidale nei confronti anche del Comune la espone ad una complessa e presumibilmente lunga azione di rivalsa nei confronti dell’ente locale.

Tale prospettazione non può essere condivisa in quanto: i) da un lato la stessa esistenza di un condebitore solidale comporta la riduzione del paventato pericolo di irripetibilità delle somme versate, non essendo emerso alcun elemento che consenta di dubitare della solvibilità dell’ente in relazione ad importi di certo non consistenti; ii) dall’altro lato la scarsa entità degli importi oggetto di condanna avrebbe imposto ben altro assolvimento all’onere probatorio circa la ricorrenza del periculum (ad esempio, deducendo e dimostrando che la s.r.l. creditrice ha delle significative perdite di esercizio, non potendosi ritenere una società “per definizione inidonea” ad offrire garanzie di recupero; ovvero deducendo e dimostrando che i creditori persone fisiche non hanno altre fonti di reddito mediante cui far fronte ad un eventuale debito di circa Euro 10.000,00, sì da doversi ipotizzare la sola esecuzione immobiliare anche per il recupero di un simile credito).

Dalle argomentazioni che precedono discende il rigetto dell’istanza cautelare.

10. Osserva infine la Corte che, avuto riguardo alla natura della causa, al valore della lite ed alle questioni di diritto che vengono in considerazione nel presente giudizio, sussistono i presupposti per disporre l’esperimento del procedimento di mediazione ai sensi dell’art. 5 comma secondo del D.Lgs. n. 28 del 2010, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Al riguardo occorre peraltro sottolineare che il tentativo di mediazione non può considerarsi assolto mediante la partecipazione dei soli difensori all’incontro preliminare informativo, posto che gli avvocati sono già a conoscenza del contenuto e delle finalità della procedura di mediazione e che in tale procedura la funzione del legale è di assistenza alla parte comparsa e non di rappresentanza della parte assente.

Deve dunque precisarsi come sia necessaria la partecipazione delle parti personalmente o dei rispettivi procuratori speciali a conoscenza dei fatti e muniti del potere di conciliare.

Deve altresì precisarsi che il mediatore può formulare una proposta di conciliazione anche quando l’accordo non è raggiunto, coerentemente con la funzione attiva e deflativa della mediazione, quale istituto non destinato ad esaurirsi in una mera ricognizione dell’attività delle parti.

La finalità dell’istituto è infatti quella di offrire alle parti una possibile definizione extra giudiziale della controversia evitando l’inevitabile alea del giudizio, l’ulteriore aggravio dei costi processuali ed i tempi necessari per addivenire alia definizione giudiziale della lite (dovendosi sul punto sottolineare che la decisione di questa Corte potrà essere oggetto di impugnazione e che comunque, in caso di mancata attuazione spontanea delle statuizioni giudiziali da parte del soccombente, sarà necessaria un’ulteriore attività esecutiva).

P.Q.M.

– RIGETTA le istanze di sospensione;

– DISPONE l’esperimento del procedimento di mediazione mediante deposito, entro il termine di giorni quindici dalla comunicazione della presente ordinanza ed a cura della parte più diligente, della relativa istanza (corredata da copia della presente ordinanza) presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia;

– AVVISA le parti che l’esperimento della procedura di mediazione sarà condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che la condizione potrà considerarsi avverata a fronte della partecipazione delle parti personalmente o dei rispettivi procuratori speciali a conoscenza dei fatti e muniti del potere di conciliare;

– DISPONE che il mediatore, ove la conciliazione non riesca, formi processo verbale dando conto: i) della proposta comunque formulata; ii) della partecipazione ovvero della mancata partecipazione delle parti; iii) della parte che abbia dichiarato di non voler proseguire nella mediazione oltre l’incontro preliminare, anche ai sensi dell’art. 8, comma quarto bis del D.Lgs. n. 28 del 2010, nonché degli artt. 116 comma secondo, 91 e 96 comma terzo c.p.c.;

– FISSA l’udienza del 28.11.2018 per la verifica dell’esito della mediazione tramite la produzione, a cura della parte più diligente, del verbale completo della procedura.

Si comunichi.

Così deciso in Napoli, il 23 maggio 2018.

La mediazione deve essere esperita anche quando la causa è connessa ad altra per la quale la mediazione non è obbligatoria

Secondo il Tribunale di Belluno la procedura di mediazione deve essere esperita anche quando la causa per la quale si avvia obbligatoriamente la conciliazione sia connessa ad altra causa, per la quale non sussiste tale obbligo.
Nel caso di specie la Parte avrebbe dovuto avviare la procedura di mediazione, atteso che l’oggetto della controversia verteva sull’affitto d’azienda (per la quale è prevista la mediazione obbligatoria), nonostante questa fosse connessa ad un contratto di cessione di bevande ( per la quale la mediazione è eventualmente facoltativa). Il Giudice ha pertanto dichiarato l’improcedibilità della domanda giudiziale.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale di Belluno

Sentenza

Giudice monocratico Sandini

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto di citazione notificato in data 24.3.2016 Si. An. agiva in giudizio nei confronti di C.L. s.r.l., L.E. s.r.l. e L.H. s.r.l. evidenziando che con contratto del 19.10.2011 aveva concesso in affitto a C.L. s.r.l. il ramo d’azienda relativo all’attività di discoteca presso la sede di C..

L’attore si doleva del fatto che C.L. s.r.l. si era resa inadempiente rispetto agli obblighi contrattualmente assunti e allegava in particolare che:

a) C.L. s.r.l. si era resa morosa nel pagamento dei canoni di locazione per la somma complessiva di Euro 150.048,01 (di cui Euro 140.000,00 per canoni ed Euro 10048,01 per oneri condominiali);

b) C.L. s.r.l. non aveva fornito la fideiussione assicurativa prevista dall’art. 8 del contratto d’affitto;

c) la discoteca era rimasta aperta per soli 15 giorni in un anno; la gestione dell’azienda aveva così provocato un grave danno concretizzatosi in perdita di avviamento e clientela;

d) erano stati realizzati sull’immobile dei lavori abusivi (demolizione di due pareti con asporto del termosifone su una di esse infisso e spostamento dello scaldabagno) che avevano provocato l’allagamento dei locali ed il danneggiamento del pavimento di legno.

L’attore chiedeva quindi di condannare C.L. s.r.l. al pagamento della somma complessiva di Euro 150.048,01 oltre interessi legali sino al saldo, di dare atto dell’intervenuta risoluzione del contratto d’affitto d’azienda e di condannare la convenuta al risarcimento del danno subito.

Chiedeva infine di accertare che la scrittura privata dell’1.4.2015 tra C.L. e L.E. s.r.l., avente ad oggetto la fornitura di bevande, era simulata e di dichiararne la nullità.

In relazione a quest’ultimo profilo evidenziava in particolare che:

a) la L.H. s.r.l. è proprietaria del 100% delle quote della L.E. s.r.l.;

b) C.A. detiene la quota di maggioranza della L.H. s.r.l.;

c) la L.E.H. è proprietaria del 100% delle quote societarie di C.L. s.r.l.;

d) Ro. Fa., amministratore unico di L.E.H., si qualifica nel proprio profilo L. quale A.D. della L.E. s.r.l.;

e) la data della scrittura privata è successiva al decreto di rilascio dell’azienda del 9.3.2015 e di pochi giorni precedente al rilascio dell’azienda. L’attore sosteneva quindi che, sulla base dei predetti elementi, era evidente che C.L. s.r.l., con la richiamata scrittura privata, avesse cercato di dissipare il proprio patrimonio per ostacolare il recupero del credito.

Con separate comparse depositate in data 30.6.2016 si costituivano in giudizio L.H. s.r.l., L.E. s.r.l. e C.L. s.r.l., tutte rappresentate dai medesimi procuratori.

L.H. s.r.l. eccepiva l’improcedibilità della domanda in ragione del mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, l’erronea individuazione del rito applicabile ed il proprio difetto di legittimazione passiva, rilevando che nessuna domanda era stata formulata nei suoi confronti.

L.E. s.r.l. eccepiva a sua volta l’improcedibilità della domanda in ragione del mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione e l’erronea scelta del rito ordinario da parte dell’attore. Nel merito negava che l’accordo intercorso tra C.L. s.r.l. e L.E. s.r.l. fosse simulato, evidenziando che al riguardo l’attrice non aveva fornito alcuna prova. C.L. s.r.l., nel costituirsi in giudizio, richiamava a sua volta le eccezioni in rito proposte dalle altre convenute. Nel merito evidenziava che l’impianto acustico presente nei locali consegnati non era a norma di legge, con conseguente violazione degli obblighi imposti dall’art. 1617 c.c. e legittima sospensione del pagamento dei canoni di affitto. Chiedeva in via riconvenzionale la condanna dell’attore al risarcimento del danno ed al pagamento dei lavori eseguiti presso i locali. Negava infine la dedotta simulazione dell’accordo di cessione delle bevande. A fronte della rinuncia all’incarico da parte dei procuratori delle convenute, in occasione della prima udienza veniva concesso un rinvio per consentire alle parti di munirsi di un nuovo difensore.

La causa veniva istruita mediante l’assunzione della prova orale e all’udienza del 22.3.2018 parte attrice precisava le conclusioni nei termini indicati in epigrafe. Nessuno compariva per le convenute.

1. Va in primo luogo accolta l’eccezione sollevata da L.H. s.r.l. relativa al proprio difetto di legittimazione passiva, non risultando proposta, nei confronti della medesima, alcuna domanda da parte di Si. An..

2. Non può in particolare ritenersi giustificato il coinvolgimento di L.H. s.r.l. nel presente giudizio in ragione del solo fatto che la medesima detiene la totalità delle quote delle altre convenute, come dalla medesima dedotto, trattandosi in ogni caso di soggetti giuridici distinti.

3. Parte attrice va conseguentemente condannata al pagamento delle spese di lite nei suoi confronti, da liquidarsi in misura ridotta rispetto ai valori medi del D.M. n. 55 del 2014 in ragione della contenuta complessità della questione.

4. La domanda relativa all’accertamento della simulazione dell’accordo intercorso in data 1.4.2015 tra C.L. s.r.l. e L.E. s.r.l. (v. doc. 10 all’interno del doc. 2 di parte attrice) va ritenuta fondata.

5. Si legge nel predetto contratto che C.L. s.r.l. si è impegnata a vendere a L.E. s.r.l. 807 bottiglie, obbligandosi a consegnare la merce entro e non oltre il giorno 1.6.2015; L.E. si è invece impegnata a corrispondere a C.L. la somma complessiva di Euro 70.000,00 entro il termine di “trenta giorni dalla sottoscrizione del contratto e comunque entro e non oltre non oltre il giorno 1.5.2015”.

6. Plurimi elementi inducono a ritenere che l’accordo in questione abbia natura simulata e che le parti, nonostante la formalizzazione del medesimo, non intendessero impegnarsi ad alcun trasferimento di merce né di denaro.

7. Un primo elemento che avvalora la tesi di parte attrice secondo cui l’accordo avrebbe natura simulata è rappresentato dal momento in cui il medesimo è stato concluso.

8. Si può infatti agevolmente notare che l’accordo è stato raggiunto il 1.4.2015 e quindi in epoca sospetta, di poco successiva al decreto depositato in data 9.3.3015 che, nell’ambito di un procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., aveva condannato C.L. s.r.l. alla immediata restituzione dell’azienda in favore di Si. An. e di poco precedente rispetto alla data dell’effettivo rilascio della medesima, avvenuto il 21.4.2015 (v. doc. 5 all’interno del doc. 2 di parte attrice).

9. E’ emerso inoltre che Ro. Fa. ha scritto di aver ricoperto il ruolo di a.d. presso L.E. (cfr. docc. 11 e 12 all’interno del doc. 2 di parte attrice) e che Paolo Fa., padre del primo, è il legale rappresentante di C.L. s.r.l..

10. Il dato temporale ed i contatti tra le due società, agevolati dal legame parentale, unitamente considerati, non possono che avvalorare la natura simulata dell’accordo in questione, verosimilmente volto a sottrarre i beni di proprietà della affittuaria C.L. s.r.l., oggetto di apparente cessione, a possibili azioni del creditore, tenuto altresì conto delle difficoltà finanziarie in cui versava la società.

11. Ai sensi dell’art. 1414 c.c. va pertanto dichiarata l’inefficacia del contratto in ragione dell’accertata simulazione.

12. Va invece rilevato, in ordine alle domande formulate da parte attrice in relazione al contratto di affitto di azienda (condanna al pagamento dei canoni scaduti e degli oneri, risarcimento del danno, accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto – si vedano in particolare le domande formulate sub (…), (…) e (…) delle conclusioni rassegnate dall’attore), il mancato esperimento della mediazione obbligatoria prevista in materia di affitto d’azienda, tempestivamente eccepito dalle convenute nelle rispettive comparse di costituzione e risposta.

13. Diversamente da quanto dedotto sul punto da parte attrice la domanda di mediazione presentata da C.L. s.r.l. nei confronti di Si. An. non vale a superare la predetta mancanza, posto che, pur avendo il procedimento coinvolto le medesime parti, lo stesso va ritenuto relativo ad una diversa domanda formulata dalla prima nei confronti dell’odierno attore (v. doc. 24 di parte attrice).

14. Nonostante l’eccezione sollevata dalle convenute parte attrice non ha chiesto in occasione della prima udienza la concessione di un termine per l’ avvio della mediazione obbligatoria in relazione alle domande soggette alla medesima. La stessa ha in particolare valorizzato, negli scritti conclusivi, la connessione con altra causa non soggetta alla mediazione obbligatoria, escludendo così la necessarietà di quest’ultima.

15. Pur dovendosi riconoscere che la domanda relativa alla simulazione del contratto di cessione delle bevande non fosse soggetta alla mediazione obbligatoria, non si può escludere che per le domande in materia di affitto d’azienda la parte fosse comunque chiamata ad avviare il procedimento di mediazione, prevista quale condizione di procedibilità.

16. In mancanza di esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria tali domande vanno pertanto in questa sede dichiarate improcedibili.

17. Quanto infine alle domande svolte in via riconvenzionale da C.L. s.r.l. le stesse non possono essere accolte in quanto la convenuta non ha fornito la prova dei danni asseritamente subiti e delle spese sostenute, correlate, secondo la prospettazione della medesima, ad interventi effettuati nel locale resisi necessari per il suo utilizzo.

18. Va considerato, al riguardo, che le convenute non si sono munite di un nuovo difensore a seguito dell’intervenuta rinuncia al mandato da parte dei procuratori inizialmente nominati, non sono state depositate le memorie ex art. 183 comma VI e non sono state formulate istanze di prova né risultano versati in causa documenti a fondamento delle pretese azionate.

19. Ogni altra questione resta assorbita.

20. Tenuto conto dell’esito del giudizio e della reciproca soccombenza le spese di lite vanno integralmente compensate tra l’attore, C.L. s.r.l. e L.E. s.r.l.

P.Q.M.

Il Tribunale di Belluno, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, domanda ed eccezioni disattese:

1) dichiara il difetto di legittimazione passiva in capo a L.H. s.r.l.;

2) accerta l’inefficacia ai sensi dell’art. 1414 c.c. dell’accordo intercorso tra C.L. s.r.l. e L.E. s.r.l. in data 1.4.2015;

3) dichiara l’improcedibilità delle domande formulate da parte attrice ai punti 1, 2 e 3 delle rassegnate conclusioni in relazione al contratto di affitto d’azienda concluso con C.L. s.r.l.;

4) rigetta le domande riconvenzionali formulate da C.L. s.r.l. nei confronti dell’attore;

5) condanna l’attore al pagamento delle spese di lite in favore di L.H. s.r.l. che si liquidano nell’importo di Euro 1384,00 per compensi di cui Euro 810,00 per la fase di studio ed Euro 574,00 per la fase introduttiva, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge;

6) compensa integralmente le spese di lite tra l’attore, C.L. s.r.l. e L.E. s.r.l.

Così deciso in Belluno, il 22 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2018.